La raccolta museale esistente nella comunità walser di
Rimella che oggi viene riproposta all'attenzione di un più vasto pubblico,anche se può apparire modesta da un punto di vista strettamente legato
alla ricchezza del suo patrimoniocostituisce un esempio storico
assai rilevante. È un esempio che ci aiuta a prendere coscienza della vitalità
e del carattere "moderno”di talune espressioni di
cultura maturate nell'ambito di comunità "tradizionali” rurali o
alpine che siano, che una pubblicistica frettolosa e male informata ci ha
abituati a considerare assolutamente statistiche e refrattarie ad ogni nuova
idea ed esperienza.
Anche se la dinamica culturale, caratteristica di molte
realtà locali nelle vallate alpine, si produce con ritmi e tempi diversi
rispetto alle zone più prossime ai centri urbani, tuttavia ciò non significa
che anche in queste situazioni non si attivino delle iniziative che rivelano il
mutare degli interessi e degli atteggiamenti. Il progressivo costituirsi dei
musei "locali", soprattutto in epoca di prima industrializzazione, è
una sensibile espressione di un’apertura non trascurabile di prospettiva.
Il fenomeno può essere colto nel suo svolgersi considerando quanto è stato
pubblicato nel 1983 nell'opuscolo curato dalla Società Storica Novarese che
presenta i risultati di un primo censimento delle “Raccolte e collezioni
museali del territorio nova rese e della Valsesia”. L’opuscolo in parola
si pone nella duplice prospettiva di dare oltre alle notizie di carattere
generale, utilissime per la fruizione di questi importanti “beni culturali”,
anche una descrizione sintetica di ciascuno dei 36 musei censiti. Al tempo
stesso, viene tracciata una breve storia della quale si può sempre conoscere
l’anno di fondazione (riportato inesatto per quanto riguarda Rimella) e, in
taluni casi, qualche notizia sparsa riguardante le persone che hanno svolto un
ruolo spesso insostituibile nel dar vita ed animare queste benemerite
istituzioni.
Nel quadro eterogeneo dei vari musei ed esposizioni di collezioni presenti nel
territorio novarese e nella Valsesia, quei pochi che vantano un’origine più
remota, risalgono alla seconda metà dell’ottocento. Sorsero perlopiù per
volontà di persone che appartenevano ad una élite intellettuale, che si
distinguono per censo e per un elevato grado d’istruzione dalla gente minuta
delle comunità in cui queste realizzazioni hanno avuto luogo. Il caso del museo
di Rimella costituisce sotto molti profili una vistosa eccezione, non solo perché
sicuramente è la più antica istituzione realizzata nella zona, ma anche perché
il popolano rimellese Giovanni Battista Filippa 1778 -1838 che lo ha
ideato è un personaggio raro e singolare che appartiene alla gente comune.
Oggi non è agevole ricostruire e delineare i tratti fondamentali della vita e
della personalità di un contadino vissuto in una piccola comunità alpina come
Rimella tra la fine del settecento e i primi decenni dell’ottocento. Tale
infatti era Giovanni Battista Filippa: un semplice montanaro il cui destino e le
cui esperienze personali maturano, si esprimono e si intrecciano con quelle di
altri uomini che come lui appartengono al medesimo ambiente e alla stessa
categoria sociale. Egli nacque nella frazione Sella di Rimella il 4 gennaio
1778, primogenito di Michele Filippa ed Anna Cusa. Personaggio umile e tuttavia
rimarchevole, Giovanni Battista Filippa, a differenza di quei suoi compatrioti -
e non sono pochi - che nello stesso scorcio di secolo seppero conquistare
posizioni di rilievo in seno alla Chiesa, alla magistratura, alle arti, alla
pubblica amministrazione mettendo a frutto i propri talenti al di fuori della
comunità d’origine, forse obbligato dalle circostanze, condusse un esistenza
che solo per un breve periodo si discosta da quella vissuta dagli altri
rimellesi suoi contemporanei. Come gli altri e con gli altri, egli fu soggetto a
lottare contro un ambiente molto difficile, a procurarsi di che vivere
sfruttando le avare risorse del luogo e, in età giovanile, ad emigrare
periodicamente per rendere la vita meno ingrata e precaria. Tuttavia, a
differenza
degli altri, fu capace di guardare oltre gli angusti limiti della sua persona, a
superare l’etica corrente che faceva della famiglia il centro degli interessi
per porre le sue doti non comuni al servizio del villaggio, spinto dal desiderio
di migliorare le istituzioni locali a vantaggio della sua gente. Questi
sentimenti lo condussero a rendere testimonianza di un modo di vivere, dei
valori nei quali egli credeva cercando di garantirne l’efficacia e la
continuità
nel tempo. La sua testimonianza, oltre ad essere quotidiana pratica di vita, si
espresse in modo molto singolare. Nell’ultima parte della sua avventura
terrena, ad onta del suo limitato grado di istruzione, egli decise di tenere
un “resoconto”, ossia una “cronaca”, registrando con minuzia e
con un modo di sentire personalissimo gli avvenimenti che riguardavano il
proprio “cantone” della Sella e, per estensione, Rimella. Le “Memorie
dell’oratorio della Sella ed altre memorie pratiche raccolte da Giovanni
Battista Filippa” costituiscono oggi una pagina rara ed importante di
storia sociale e culturale che ci consente di conoscere aspetti della vita e
dell’organizzazione locale di una comunità walser all’epoca della
Restaurazione.
Le “memorie” del Filippa, dopo circa centocinquanta anni di oblio, sono
state riconsiderate da chi scrive e pubblicate integralmente in edizione critica
nel volume edito dalla “Fondazione arch. Enrico Monti” che ha per titolo: “I
luoghi della memoria. Vita e cultura in Alta Valsesia nelle testimonianze del
contadino rimellese G.B. Filippa (1778-1838)”.
Oltre alle “memorie” ricordate, che riguardano essenzialmente la comunità,
oggi fortunatamente disponiamo di notizie sicure sulla sua vita privata. Tali
notizie sono ricavabili da alcuni documenti personali che un certo Luigi
Strambo, genero del Filippa, affidò con grande lungimiranza al Museo di Rimella. Queste fonti ci informano che il Filippa in data 7 giugno 1807 viene
arruolato nell’esercito del Regno d’Italia in qualità di fante e assegnato
in Milano al Quinto Reggimento di Linea appartenente alla prima Divisione. Egli
partecipò alle lunghe e cruente campagne napoleoniche di Spagna che si
protrassero senza interruzione dal 1808 al 1811. Alla fine del 1811, in seguito
alle gravi infermità contratte nel corso delle stesse campagne, venne
rimpatriato, riformato e congedato. Durante il servizio militare egli svolse
le mansioni di furiere ossia di scrivano. La normale pratica della scrittura,
aggiunta alla grande curiosità che in lui doveva essere dote innata, gli garantì
un grado di istruzione di gran lunga superiore a quello che mediamente avevano i
suoi compatrioti dello stesso rango sociale. Ciò gli consentì di emergere
sugli altri tanto che nel 1812 fu eletto alla carica di “tesoriere”
dell’oratorio della Sella. Utilizzando le sue possibilità e capacità
personali e forte del prestigio derivatogli dalla carica ricoperta, cercò di
rianimare dall’interno la comunità rimellese che risultava cristallizzata
nelle proprie abitudini e nel proprio modo di vivere torpido e ripetitivo. Per
fare ciò si mosse su due diversi fronti. In un primo tempo si studiò di
promuovere alcune iniziative all’interno della propria frazione della Sella.
Queste tendevano a rinvigorire e stimolare gli interessi per la cosa pubblica e
a facilitare l’emergere di uno spirito collaborativo. Nel
far questo egli
saggiamente si appella alla tradizione e si muove con una certa sicurezza nel
solco tracciato dalle consuetudini locali.
In altra circostanza, invece, egli agì con successo
cercando di superare le stesse barriere sociali poste dalla frazione per aprire
il campo di esperienza all’intera comunità. Si tratta in questo secondo caso
di un’operazione innovativa, condotta con intelligenza e misura in un ambito
culturale che non poteva entrare in conflitto con le strutture locali.
Ciò
avviene intorno al 1834 quando, con grande libertà e con spirito positivo e
moderno, dona alla comunità e, si badi bene, non soltanto alla gente della
propria frazione della Sella, la collezione personale di monete, libri ed
altri oggetti che si era procurati non senza difficoltà, oggetti che nel
piccolo mondo chiuso di Rimella rappresentavano delle rarità. Contestualmente,
egli diede corso al progetto che prevedeva l’allestimento, in un locale della
propria abitazione nella frazione della Sella - come egli brevemente ricorda
nelle sue "cronache" - di un primo nucleo espositivo che il Filippa
denominò “Gabinetto di curiosità e cose rare” che successivamente
verrà elevato al rango di “Museo” dotato di una propria sede. Nei progetti
di Giovanni Battista Filippa, il museo avrebbe svolto una funzione molto
importante: quella di stimolare la curiosità e gli interessi delle persone,
specie di quelle che avevano scarse possibilità di uscire dalla comunità e di
affacciarsi sul mondo esterno. Facendosi promotore di questa iniziativa,
certamente molto singolare per quei tempi e per il luogo in cui si realizza, il
Filippa denota di possedere una notevole sensibilità per le correnti
culturali più avanzate e uno spirito enciclopedico che oggi non possono fare a
meno di stupirci. Allo scopo di realizzare rapidamente quanto si era proposto,
il saggio montanaro rimellese non esitò a bussare a molte porte. In capo a
qualche anno, aiutato da altre persone da lui stesso sollecitate, riuscì ad
arricchire la sua collezione personale di nuovi esemplari di minerali, reperti
fossili, conchiglie, animali imbalsamati stanziali ed esotici, esemplari
numismatici anche di un certo valore che, classificati e opportunamente
ordinati, riuscivano nel loro insieme a fornire un’idea della complessità e
della insospettata varietà del mondo e della natura.
Accanto agli oggetti ricordati, il Filippa ritenne di dover collocare altri
reperti, idonei a testimoniare il modo di vivere nella comunità, non
dimenticando che questa era collocata in un mondo molto più vasto e ben più
difficile da penetrare e comprendere. Per raggiungere lo scopo egli, molto
correttamente, non si limitò a raccogliere oggetti, suppellettili e strumenti,
espressione della “cultura materiale”, correntemente usati nella vita
quotidiana dell’angusto ambiente comunitario. Con notevole senso della realtà,
egli volle fornire un “segno” delle esperienze maturate all’esterno dai
migranti rimellesi segnandone idealmente i percorsi. Per far meglio comprendere
come si svolgeva la vita al di fuori di Rimella, specie nei paesi stranieri,
raccolse un materiale perlopiù “povero” ed estremamente eterogeneo:
conti
rilasciati da locande francesi, inglesi e tedesche, opuscoli pubblicitari di
varia natura, titoli di viaggio utilizzati per spostamenti in diligenza, diplomi
e attestati rilasciati da enti italiani e stranieri, libri e fogli sparsi
stampati nelle lingue più diverse, ivi compresa l’araba e l’ebraica e, cosa
particolarmente curiosa e interessante, anche una pergamena francese con la
quale, all’inizio dell’800 veniva legittimata la fondazione di una loggia
massonica in Torino.
Lì
Filippa, pur sostenendo in prima persona il maggior sforzo organizzativo,
sollecitò l’interessamento di notabili rimellesi e valsesiani che non gli
negarono il loro appoggio. In un manoscritto non datato (conservato
nell’archivio del museo di Rimella) e stilato dal parroco don Gaudenzio Cusa
dopo il 1830, viene menzionata la prima cessione di oggetti fatta dal Filippa
alla comunità e delineato il progetto di fondazione del museo:
“Il sig. Giambattista Filippa di questa Comunità è
disposto a cedere alla medesima la sua piccola raccolta di oggetti di storia
naturale, il suo medagliere, benché di poca entità, ed alcuni libri, al fine
di riunirgli nel casino attiguo alla casa prepositurale, da aprirgli in
occasione delle feste di concorso, come sarebbero quelle dell’Ascensione, del
Carmine e di San Michele a comodo di chi bramasse di visitare questo museo in
embrione, che potrà servire come di nucleo ad una raccolta maggiore e
d’incentivo ad arricchirlo ad altri inclinati a simil genere di studi.
Siccome necessiterebbe una spesa maggiore di lire
duecento di Milano per adattare il sito destinato a ricevere l’indicata
raccolta e per la formazione delle convenienti scansie; perciò il sottoscritto,
che conosce quanto è grande la generosità di questa popolazione allorché
trattasi di fondare qualche stabilimento utile e decoroso al paese, si fa animo
di proporre alle persone intelligenti e benefiche a voler concorrere con qualche
offerta a darvi principio, trattandosi di un’istituzione nuova nel suo genere
in Patria non solamente ma nell’intera Valsesia”.
L'esortazione
del parroco Cusa non cadde nel vuoto e ben presto il museo si arricchì di
nuove acquisizioni pur mantenendo inalterate nel tempo le caratteristiche e le
dimensioni originarie.
Giovanni
Battista Filippa si spense nella sua casa della Sella nel pomeriggio del 5
settembre 1838. Le uniche, scarne notizie che riguardano la sua dipartita, si
possono ricavare dalle fugaci annotazioni del parroco Cusa nel “Libro dei
Morti” della comunità. Fortunatamente oggi ci rimangono le sue “Cronache”
che ci riportano indietro nel tempo e ci rimane anche il “suo” museo che
testimonia il modo molto personale di rapportarsi con il mondo e con la cultura.
Il
museo segna una fase della vita nella comunità che rispecchia la realtà di
un’epoca che si sembra ormai tanto lontana e che oggi siamo in grado di
comprendere solo se viene letta e interpretata alla luce dei valori e della
cultura in cui tale realtà si è prodotta.